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Posts Tagged ‘ansia’

Più volte al giorno mi interrogo: mi chiedo che giorno è, che giorno sarà domani, cosa devo fare settimana prossima. Mi sveglio di notte e le domande si ripetono. Non percepisco più il tempo. Le settimane si susseguono veloci e allo stesso tempo lentamente. Inizio a dissociare il tempo sociale dal mio mondo. Cerco punti saldi di normalità. Anche lavorare oltre l’orario, seppur sempre guardando l’orologio e i minuti che mi separano dall’essere una fuorilegge, sa di routine ormai persa, di un passato che non è più presente. La mia psiche si sta ribellando.

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Inizi ad avere paura degli altri. Di chi si avvicina troppo. Di quello che potrebbe chiederti perché anche un silenzio, in faccende come questa, è una risposta bella e buona. Ma tu non vuoi far sapere nulla agli altri di te. Cerchi di arginare e contenere la conversazione su binari morti lontani dall’argomento principe. Quello che ti sta togliendo il sonno e pure la fame. Oltre alla voglia di resistere.

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Prima l’ansia per uscire in orario e incrociarlo

poi stessa ansia ma per evitarlo a tutti i costi.

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Sono tante le cose della vita

che dovrebbero toglierti il fiato:

un sorriso, una carezza, un bacio

ma non l’ansia.

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Si ricomincia con le notti passate a metà.

Metà a pensarti e metà a cercare di non pensarti.

Che vuol dire pensarti lo stesso.

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A volte l’ansia è un brulicare

di formiche sottopelle.

 

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Ad occhi chiusi avvicino la tua camicia al mio volto e inspiro a fondo, cercando le ultime molecole del tuo profumo; e mi chiedo se ora sei con lei, se tra le sue braccia hai trovato il porto sicuro che andavi cercando.

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L’aria tiepida di giugno solleticava la sabbia, sollevando alcuni granelli dorati. Il sole alto nel pomeriggio guardava non curante l’orizzonte, incapace di comprendere cosa fosse la notte.

Alcuni bagnanti solcavano il lungomare, sollevando piccole onde bianche attorno alle gambe, discutendo animatamente alcuni, altri osservando in silenzio dove poggiavano i piedi.

Un gruppetto di bambini era intento a costruire un castello con più torri, adornato da conchiglie e alghe strappate al moto ondoso.

Nel suo silenzio s’erano appartati suoni di discorsi mai tenuti, intrappolati in gola come bocconi amari che non si riesce a deglutire; le mani tremavano per un tic nervoso che non riusciva a placare, il respiro, fattosi accelerato, le faceva sussultare il petto magro alla disperata ricerca di ossigeno. Seduta, fissava il mare dinanzi a sè, per cercare la calma interiore a cui aspirava. Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva un volto, il suo volto, ma avrebbe dato qualsiasi cosa per non vederlo più. Troppo dolore, troppa ansia, troppe domande, –  che sarebbero rimaste senza risposte,- invadevano il suo essere rendendolo fragile e indifeso.

Una folata di vento le sussurrò qualcosa all’orecchio. Un bisbiglio, un mormorio, un fruscio nella sua testa. Riaprì gli occhi.

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I sentimenti sono operazioni a cuore aperto.

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Manca poco. Basta socchiudere gli occhi, ascoltare il palpito del cuore sommesso ma agitato, e lasciarla andare, lasciarla scendere dall’angolo dell’occhio, lasciarla cadere, pesante nella sua inconsistenza, lungo la guancia, fino a solcare le labbra aride per la tua assenza.

Non sarebbe un torrente impetuoso, un fiume che si ingrossa fino a straripare, nulla di tutto ciò perché siamo due estranei, lontani come due astri nell’universo immenso, che si sono incontrati senza trovare parole per conoscersi, che si sono persi senza lasciare segni come briciole di pane sul sentiero per ritrovarsi.

Basterebbe lasciarsi andare e svuotare quest’ansia che si nutre di ciò che mangio, lasciandomi affamata di sonno, che perdo su un cuscino duro come pietra, fredda come una notte di gennaio in cui pure la neve batte troppo i denti per saltare dal cielo grigio e ricoprire quest’inferno.

Se solo quella vocina chiudesse il becco, si facesse gli affari suoi e andasse al diavolo, potrei godermi il sole pigramente su una sedia, in compagnia di un fedele libro ancora tutto da scoprire. Invece no, mi logora come un tarlo col legno più tenace, provocando fori sempre più vicini, che confluiscono in una voragine, un vortice che assorbe il buon senso e ti fa girare la testa. Finirò per bere sale. Se solo servisse a risalire leggera, ad abbandonare la zavorra che sul petto pesa, verserei secchi d’acqua sui miei vestiti leggeri.

Ma tutto tace, nell’aria solo un ronzio rompe il mutismo delle pareti di una scatola bianca. E resto qui, con la mia angoscia a farmi compagnia, a tenermi stretta tra le sue braccia ruvide di croste di sangue rappreso, con cui mi ferisce, fino a farmi sgocciolare emoglobina dagli arti senza riparo. Ma quello che soffre di più, quello con le cicatrici, talmente mal cucite da strapparsi al primo sorriso, è il solito, maltrattato, cuore.

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