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Posts Tagged ‘lacrime’

Dall’alto tutto scruti e tutto sorvegli.

Nel buio delle notti insonni di lacrime velate,

indichi,

ai nostri cuori infranti, spinti alla deriva,

la rotta verso casa.

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Oggi manchi

fino alle lacrime.

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Il fiume inghiottiva le sue lacrime come un animale vorace, da troppo tempo a digiuno, quasi ingordo nella sua bramosia e insistenza di nutrimento.

E in cambio restituiva ricordi, dolci come le sue acque chiare.

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Pioggia forte sui vetri

tic tac tic tac.

Un orologio fermo

a scandire le ore.

I ricordi ad attraversarle.

Le lacrime a segnarle.

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Chi ci ama davvero

si disseta

con le nostre lacrime più salate

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Tra i rami

cerco la primavera.

Nella rugiada del mattino

vedo lacrime sparse.

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Ormai era mattina. Un tenue bagliore penetrava dagli avvolgibili della finestra, rivolta ad est. Era ancora estate fuori, anche se la temperatura era più dolce e ogni tanto una leggera brezza sollevava le foglie delle piante.

Nella sua stanza dormiva ancora o quasi, a volte si svegliava all’udire di qualche rumore, poi scivolava nuovamente là, dove si vive una vita senza rendersene conto. In uno di quei viaggi, incontrò una figura maschile, capelli corti e barba, a pelle decisamente da evitare, piuttosto antipatico.

Camminava, camminava, vagava per luoghi a lei noti e si ritrovò sveglia tra quelle coperte, nella stanza che conosceva bene, con le braccia scoperte, la sinistra sotto il capo e la destra sopra il cuscino. Forse le sue palpebre si chiusero di nuovo perché sentì che la mano destra veniva stretta in una presa che non potè fare a meno di ricambiare, poi, sempre ad occhi chiusi, sentì delle labbra che si posavano sulla guancia, una prima volta delicate, quasi trasparenti, poi una seconda più decise, lasciando quel sapore di fresco di una bocca socchiusa. Ormai sveglia, si guardò intorno.

Nessuno.

Eppure la sua mano era stata intrecciata ad altre dita e la sua guancia era stata sfiorata da labbra altrui. Cercò nella memoria, ma non conosceva il volto del sogno. Ma era stato davvero solo un sogno? Una sensazione di malinconia la pervase, come se avesse perso qualcuno, come se le fosse arrivato un biglietto d’auguri da qualcuno che non poteva più spedirli, come se fosse un saluto o una promessa per il futuro.

Per tutta risposta calde lacrime le rigarono il volto, unica certezza che era davvero sveglia.

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E’ più facile che si alzi il vento

per asciugarti le lacrime

che incontrare chi

ti impedisca di versarle.

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Ci sono musiche

che non puoi ascoltare con le orecchie;

ci sono persone

che sono colonne sonore;

ci sono occhi

che innescano il battito del cuore;

ci sono lacrime

che scendono al suono di un pianoforte malinconico

quando un destino beffardo

ti fa scivolare accanto chi ti toglie il fiato,

il tempo di un secondo,

in cui basterebbe allungare una mano per incontrarsi,

e invece i suoi occhi non ti cercano nemmeno.

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Manca poco. Basta socchiudere gli occhi, ascoltare il palpito del cuore sommesso ma agitato, e lasciarla andare, lasciarla scendere dall’angolo dell’occhio, lasciarla cadere, pesante nella sua inconsistenza, lungo la guancia, fino a solcare le labbra aride per la tua assenza.

Non sarebbe un torrente impetuoso, un fiume che si ingrossa fino a straripare, nulla di tutto ciò perché siamo due estranei, lontani come due astri nell’universo immenso, che si sono incontrati senza trovare parole per conoscersi, che si sono persi senza lasciare segni come briciole di pane sul sentiero per ritrovarsi.

Basterebbe lasciarsi andare e svuotare quest’ansia che si nutre di ciò che mangio, lasciandomi affamata di sonno, che perdo su un cuscino duro come pietra, fredda come una notte di gennaio in cui pure la neve batte troppo i denti per saltare dal cielo grigio e ricoprire quest’inferno.

Se solo quella vocina chiudesse il becco, si facesse gli affari suoi e andasse al diavolo, potrei godermi il sole pigramente su una sedia, in compagnia di un fedele libro ancora tutto da scoprire. Invece no, mi logora come un tarlo col legno più tenace, provocando fori sempre più vicini, che confluiscono in una voragine, un vortice che assorbe il buon senso e ti fa girare la testa. Finirò per bere sale. Se solo servisse a risalire leggera, ad abbandonare la zavorra che sul petto pesa, verserei secchi d’acqua sui miei vestiti leggeri.

Ma tutto tace, nell’aria solo un ronzio rompe il mutismo delle pareti di una scatola bianca. E resto qui, con la mia angoscia a farmi compagnia, a tenermi stretta tra le sue braccia ruvide di croste di sangue rappreso, con cui mi ferisce, fino a farmi sgocciolare emoglobina dagli arti senza riparo. Ma quello che soffre di più, quello con le cicatrici, talmente mal cucite da strapparsi al primo sorriso, è il solito, maltrattato, cuore.

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